Siamo circondati di simboli che spesso non siamo più in grado di leggere.

 

Il periodo delle festività natalizie diventa una preziosa occasione per togliere la polvere dalla tradizione più noiosa e commerciale e ridare luce alle piccole perle che compongono la storia dell’umanità.
Oggi voglio parlarvi del vischio… sì quella piantina che un tempo usavamo attaccare sopra la porta, imprigionata in una stagnola rossa o argentata, magari appeso strategicamente per ottenere il tanto agognato bacio da parte di lui/lei.
Quest’anno, forse perché mi sembra di vederne meno in giro, è arrivata la domanda: perché il vischio?
Innanzitutto riposizioniamo la pianta nel suo contesto (che non è la stagnola sbrilluccicante di cui sopra): il vischio è un semiparassita e sempreverde che vive sui rami di tanti alberi, soprattutto del melo, del pero, del pino silvestre, ma anche della quercia. Ha foglie carnose, verdi-giallastre e bacche bianche perlacee che maturano proprio in questi periodi, identificandolo quindi come pianta solstiziale.

 

Visto da un occhio degli antichi, il vischio era una pianta misteriosa perché non aveva radici e cresceva sul ramo di un altro albero come se fosse caduto dal cielo.
In particolar modo, nel caso delle querce, si riteneva che nascesse dove fosse caduto un fulmine, simbolo di una discesa della divinità sulla terra (vi ricorda qualcuno?) e dunque di immortalità e rigenerazione.
Lo si coglieva dopo la sesta notte del solstizio invernale, detta “notte madre”. Il capo dei druidi lo asportava con una falce d’oro per poi immergerlo nell’acqua che sarebbe stata in un secondo momento distribuita a chi avesse avuto bisogno di guarire da qualche male: era considerato infatti una panacea per tutti i mali. Plinio ci racconta che la parola vischio vuole dire appunto “che guarisce tutto” (interessante poi scoprire che tale proprietà gli veniva riconosciuta anche in altre parti lontane del mondo tra cui Giappone, Senegal e Gambia).
Il vischio… una pianta solare e solstiziale, che si credeva mandata dal cielo: insomma, una pianta che calzava alla perfezione anche per la simbologia cristiana del Natale. In Inghilterra si appendeva un ramo nelle chiese la notte tra il 24 e il 25 dicembre e lì vi rimaneva per i 12 giorni del tempo natalizio: in quel periodo si proclamava la pace universale e l’indulgenza alle porte delle città.
Le tradizioni legate a questa pianta sarebbero molte altre ancora, ma mi fermo qui.

 

Perché questa storia? Perché volenti o nolenti siamo in un periodo che ci chiama alla rigenerazione… ma un vero rinnovamento non può avvenire se non permettiamo ai nostri occhi di vedere in profondità nelle cose…
Probabilmente, se siete arrivati a leggere fino a qui, la prossima volta che vedrete un vischio appeso non penserete a una sciocca tradizione, ma vi torneranno in mente parole come guarigione, pace, rinascita. Avrete visto qualcosa in più rispetto a prima, avrete dato un senso pieno a un qualcosa che un tempo, pensandoci bene, era un’usanza un po’… senza senso!

 

Quale migliore auspicio possiamo avere per l’anno futuro se non quello di aumentare la nostra consapevolezza su di noi e sulle cose e i simboli che ci circondano?

 

Con Tra Terra e Cielo e Vie dei Canti il nostro impegno rimane, tra gli altri, quello di aumentare la percezione di sé, del mondo e nel mondo.

 

Il cammino ad esempio può aiutare a conoscere i nostri limiti e in contemporanea a trovare al loro interno un infinito da esplorare che pensavamo di non avere.
Una guida può trasformare un “sasso” apparentemente insignificante in un qualcosa che difficilmente scorderai e che ti porterà a spostare lo sguardo… un passo oltre.