Partecipare, essere parte

Libertà è partecipazione.
Giorgio Gaber
Non è la prima volta che, in questi editoriali, una riflessione prende avvio dall’etimologia di una parola.
Oggi scegliamo come guida per questa breve introduzione il verbo partecipare, che viene dal latino participare e significa “prendere parte”, ma anche “condividere qualcosa con altri”.
E già da qui gli orizzonti di significato si allargano: partecipare non è solo un atto individuale, ma una relazione. Non basta esserci: si tratta non solo di entrare o stare in qualcosa, bensì di assumere responsabilità nell’azione che si compie, di portare sé stessi dentro una dimensione più ampia, dove ciascuno conta, perché ha qualcosa da offrire, ma anche qualcosa da ricevere. La parte che prendi è anche quella che lasci: un racconto, un’idea, un gesto, una voce.
Se velocità e frammentazione sono segni distintivi del nostro quotidiano, partecipare sovverte l’abitudine con la scelta di esserci davvero: con corpo, pensiero, cuore. È un atto di resistenza contro l’indifferenza, l’isolamento, la delega passiva.
Partecipare va contro l’individualismo imperante a favore di qualcosa che si realizza insieme, dove l’identità non si perde, ma si amplia quando incontra l’altro. Partecipare è cura, ascolto, radicamento.
Chi sceglie un cammino a piedi con Vie dei Canti, o una vacanza olistica con Tra Terra e Cielo, non è mai un cliente, ma – appunto – un partecipante. Le nostre esperienze si creano nella relazione, nello scambio, nell’essere insieme nel qui e ora, nella collettività.
La partecipazione (nostra, vostra) non è solo parte integrante, ma soprattutto parte fondante della nostra realtà.
Vuoi prenderne parte?