Immagina 28 barche messe una accanto all’altra per 200 metri fino a coprire l’intero alveo di un fiume, dalla sponda destra a quella sinistra. Con un po’ di attenzione, saltellando se necessario e cercando di mantenere l’equilibrio sollevando le braccia a mo’ di ali, per oltre 600 anni questo è stato l’unico modo con cui gli abitanti di Bereguardo, nel Pavese, hanno potuto attraversare quel tratto del Ticino. Il ponte di barche esiste ancora, seppur messo in sicurezza nel 1913 con una struttura in chiatte stabile che segue la portata del fiume sfruttando il principio di Archimede. Ma come tutti i centenari mostra qualche evidente ruga dovuta all’usura del tempo. Anche perché oggi è solcato ogni giorno dalle auto che sbucano dalla nebbia alla velocità massima consentita di 30 chilometri orari, montano sulla passerella e percuotono le assi come uno xilofono.

I pavesi lo percorrono per raggiungere la Lomellina o per prendere il sole sotto le chiatte. Da queste parti, a tre chilometri dal centro abitato, al termine di una strada ora pianeggiante ora vivace con i suoi saliscendi, sono state girate molte scene di film. Chi ricorda l’arrivo della lunga maratona di Adriano Celentano e Gino Santercole nel film “Mani di velluto”, culminata proprio sul ponte di barche, tra le casette gialle dei guardiani ora abbattute? E Marcello Mastroianni e Sophia Loren che nel film “I girasoli” di Vittorio De Sica guardano il ponte di Bereguardo bombardato in un’incursione aerea della Seconda Guerra Mondiale?

 

Sì, perché contro ogni previsione questo patrimonio culturale è ancora lì: due guerre mondiali e molte alluvioni non l’hanno buttato giù. Certo, anche in questi giorni non si può fare a meno di ristrutturazioni e riparazioni, ma considerando la transitorietà per definizione di questa soluzione tecnica, siamo davanti a un piccolo miracolo italiano.

Flavia Caironi è una guida ambientale, una di quelle che ama camminare, una di quelle che dopo 20 chilometri di marcia è felice di essere stanca. La fatica, per lei, è un valore. Almeno una volta l’anno invita a viaggiare a piedi fra i piccoli borghi contadini del Pavese e lì, lungo il ponte che galleggia sull’acqua, è passata centinaia di volte. «Attraversarlo a piedi – racconta Flavia – ti riporta indietro nel tempo. Fa riflettere il contrasto tra il suono antico dei nostri passi di viandanti sulle assi di legno, appena percettibile dai compagni di cammino, e il frastuono meccanico che già a distanza ti impone la presenza del traffico moderno. Un brusco ritorno alla civiltà dopo la tranquilla pace dei sentieri nel bosco. Percorrerlo in auto mi fa sempre un certo effetto: le vecchie assi sembrano lamentarsi sotto il peso delle auto incuranti…».