Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola.

Khalil Gibran

Aprile 2014. 

Esattamente 10 anni sono passati da quando presi quell’aereo da Milano Malpensa con la mia amica Alice per andare a trovare il mio amico Nicolò che si era da poco trasferito. Dove? In Palestina, a Bethlehem. 

Sapevo. Avevo letto. Mi ero informata. 

Ma non mi ero “immaginata” abbastanza. 

Fin dal primo giorno compresi bene che i filtri della distanza geografica e culturale, delle immagini e della lettura non potevano che avermi restituito un’immagine sbiadita di quello che poi avrei effettivamente trovato.

Se penso alla Palestina una delle prime a cui la mia mente va è la luce. Bellissima, spietata, assoluta. Un po’ come la storia di questa terra martoriata, anche non lascia spazio a sfumature e mezzi toni: o luce, o ombra.

Subito dopo però la memoria, si sposta a quel muro, enorme, terribile, insormontabile. 

Alle intere ulivete bruciate lungo la strada.

All’onnipresenza asfissiante delle colonie.

Alle file interminabili ai check point e alle vessazioni che questi luoghi comportano.

Alla miriade di soldati (giovani, giovanissimi!) presenti in ogni dove.

Al momento surreale dell’inizio dello shabbat a Gerusalemme.

A Hebron, a Nablus, alla spianata delle moschee.

A mille altre immagini, belle, brutte, emozionanti, stranianti, inedite.

Nel 2014 ancora non avevo mai fatto un cammino e ancora non potevo immaginarmi che da lì nel giro di poco tempo avrei dirottato la mia vita verso nuovi orizzonti. Quel viaggio però ha gettato i primi semi di un cambiamento importante e irreversibile che ho scelto di intraprendere di lì a poco, con una risoluzione a me sconosciuta.

Sembra incredibile che proprio l’innesco di dare un nuovo senso alla mia vita sia arrivato da un luogo in cui sembra impossibile qualsiasi ipotesi di risoluzione e cambiamento in positivo.

In questi giorni nutro profonda gratitudine, tristezza e frustrazione per questa terra che è riuscita a darmi tanto e per cui sento di non poter contraccambiare in egual modo.

Viaggiare vuol dire non solo muoversi nello spazio. Lo si può fare anche stando fermi.

Viaggiare significa anche e soprattutto spostare lo sguardo. 

Aprire gli orizzonti, accorgersi di nuovi particolari, scoprire nuove realtà.

Nel 2016 ho scoperto anche che viaggiare a passo lento ti dà anche il tempo di farlo.

Confini, divisioni, barriere sono sentieri che non portano da nessuna parte. Sono strumenti che chiudono gli occhi e restringono pensieri e azioni.

Camilla